09Ago

CLIMATE CHANGE 2021 – Le basi fisico-scientifiche: il rapporto spiegato dagli scienziati italiani

I contenuti che seguono sono realizzati con il contributo di esperti e autori italiani del Rapporto IPCC CLIMATE CHANGE 2021 – Le basi fisico-scientifiche: Momme Butenschön (CMCC), Annalisa Cherchi (CNR – ISAC), Susanna Corti (CNR – ISAC), Sandro Fuzzi (CNR – ISAC), Dorotea Iovino (CMCC), Enrico Scoccimarro (CMCC).

Il rapporto dell’IPCC è frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge scienziati di tutto il mondo. Il contributo di istituzioni italiane al rapporto “Climate Change 2021 – Le basi fisico-scientifiche” ha visto il lavoro della Fondazione CMCC, che ha partecipato alle simulazioni CMIP6, e del CNR – ISAC con gli autori Annalisa Cherchi, Susanna Corti, Sandro Fuzzi.
In particolare, il gruppo di lavoro del CMCC guidato da Silvio Gualdi ha fornito simulazioni climatiche di ultima generazione utilizzando diverse versioni del proprio modello CMCC-CM2. Per quanto riguarda gli autori, Susanna Corti (CNR – ISAC) ha lavorato al capitolo 4 “Future global climate: scenario-based projections and near-term information”, Annalisa Cherchi (CNR – ISAC) al capitolo 8 “Water cycle changes”, Sandro Fuzzi (CNR – ISAC) al capitolo 6 “Short-lived climate forcers”

Come si possono sintetizzare le novità principali del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC sulle conoscenze inerenti le basi fisico scientifiche dei cambiamenti climatici?
Sappiamo da decenni che la terra si sta riscaldando. I recenti cambiamenti climatici, che sono emersi a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, sono diffusi, rapidi, si stanno intensificando e sono senza precedenti se guardiamo alla storia di migliaia di anni.

Le evidenze scientifiche raccolte da questo rapporto rafforzano la consapevolezza che le attività umane sono alla base delle cause dei cambiamenti climatici. L’influenza umana sta rendendo gli eventi climatici estremi – quali ondate di calore, forti piogge e siccità – più frequenti e gravi.

I cambiamenti climatici stanno già interessando tutte le regioni del pianeta, anche se con impatti e modalità diverse. La probabilità di eventi estremi (ondate di calore, precipitazioni intense e fenomeni siccitosi) aumenta con il riscaldamento globale. Il Rapporto chiarisce che questi eventi estremi sono destinati a intensificarsi con l’ulteriore incremento della temperatura del pianeta.

Alcuni dei cambiamenti a cui stiamo assistendo sono irreversibili. Tuttavia, altri possono essere rallentati e altri ancora potrebbero essere arrestati o addirittura invertiti limitando il riscaldamento globale. Per contenere l’innalzamento della temperatura media del pianeta entro (1,5°C rispetto al periodo pre-industriale) è necessario ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni di CO2, metano e altri gas serra.

Senza riduzioni immediate, rapide e su larga scala, delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento a 1,5°C rispetto al periodo per-industriale sarà impossibile.

Emerge da questo rapporto che negli scenari a più alte emissioni, si riduce la proporzione della CO2 assorbita dalla terra e dall’oceano. Questo vuol dire che più CO2 emettiamo in atmosfera, più si limita la capacità di assorbimento naturale. In altre parole, ne viene assorbita meno in proporzione al riscaldamento.

Un aspetto innovativo di questo rapporto consiste nell’aver migliorato la quantità e la qualità delle informazioni a scala regionale fino a presentare nei capitoli finali un focus specifico su questo aspetto, analizzando gli avanzamenti della conoscenza scientifica per quello che riguarda gli eventi estremi e la loro attribuzione alle attività umane.

Il Rapporto si basa su simulazioni climatiche di ultima generazione. In che modo queste simulazioni contribuiscono a migliorare la nostra conoscenza dei cambiamenti climatici?
Per la prima volta in un rapporto dell’IPCC, i cambiamenti futuri nella temperatura superficiale globale, nel riscaldamento degli oceani e nel livello del mare sono stati costruiti combinando le proiezioni modellistiche, ovvero risultanti dall’insieme di tutte le simulazioni climatiche disponibili eseguite con l’ultima generazione di modelli climatici a partire da un protocollo comune condiviso (CMIP6), con vincoli basati sulle osservazioni e su come i modelli hanno simulato il riscaldamento nel passato, nonché su una valutazione aggiornata della sensibilità climatica. Ciò ha permesso di ridurre, per ciascuno scenario considerato, l’intervallo di incertezza rispetto alle proiezioni delle variazioni future di temperatura globale.

L’insieme di simulazioni climatiche di ultima generazione prese in considerazione nel Rapporto si chiama CMIP6 (Coupled Model Intercomparison Project Phase 6 del World Climate Research Programme). Si tratta di un programma internazionale cui contribuiscono istituti, laboratori ed università dai vari paesi che condividono specifici obiettivi scientifici di interesse comune e mettono a disposizione i risultati. Questo permette di avere una gamma di modelli del sistema Terra per lo studio del clima e del cambiamento climatico altamente diversificati, ma con protocolli comuni per la realizzazione degli esperimenti. Il fatto che i modelli siano diversi e che gli esperimenti abbiano protocolli comuni è molto importante per capire l’abilità dei modelli di riprodurre il clima e la sua variabilità e soprattutto per valutare quanto le proiezioni sul clima del futuro siano robuste.

Le simulazioni prodotte nell’ambito di CMIP6 mettono a disposizione della comunità di analisi dei cambiamenti climatici conoscenze scientifiche più solide e dettagliate rispetto alle simulazioni realizzate in passato. La possibilità di integrare nella ricerca un maggior numero di dati climatici osservati nel passato, ad esempio, consente di avere una migliore misura della capacità dei modelli climatici di simulare il clima e i campi di principale interesse per i ricercatori. Le informazioni che emergono poi dall’utilizzo di queste simulazioni possono includere un maggior numero di indicatori e offrire dati con un dettaglio migliore rispetto al passato.

Informazioni climatiche sotto forma di indicatori, scelti nell’ottica di essere utili e rilevanti per la pianificazione di iniziative di adattamento e per la valutazione del rischio climatico a scala locale, sono disponibili per una serie di regioni nelle quali sono stati suddivisi i continenti e gli oceani.

Quali informazioni emergono sulla possibilità di limitare l’innalzamento della temperatura media globale a 1,5°C o 2°C?
Il Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC valuta una probabilità superiore al 50% che 1,5°C di riscaldamento venga superato negli anni immediatamente successivi al 2030, ovvero in anticipo rispetto a quanto valutato nel recente rapporto speciale dello stesso IPCC sul riscaldamento di 1,5°C pubblicato nel 2018. L’anno in questione viene calcolato considerando la stima centrale su una media di 20 anni.

È virtualmente certo, si legge poi nel rapporto, che la soglia di riscaldamento globale di 2°C sarà superata durante il XXI secolo se le future emissioni saranno in linea con quanto ipotizzato nei due scenari ad alte emissioni (SSP3-7.0 e SSP6-8.5).

Nel caso di una diminuzione delle emissioni globali di gas serra dal 2020 in poi e raggiungendo emissioni nette di CO2 pari a zero intorno alla metà del secolo, è possibile che il riscaldamento globale rimanga al di sotto di 1.5°C.

Esiste un collegamento tra inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici?
Il primo volume del Sesto rapporto di valutazione dell’IPCC considera l’inquinamento atmosferico e le cause dei cambiamenti climatici come due fattori strettamente legati tra di loro. Si tratta di un elemento di novità del rapporto Climate Change 2021: le basi fisico-scientifiche. Infatti, nel capitolo 6 vengono discussi, per la prima volta in modo organico nei lavori dell’IPCC, i cosiddetti forzanti climatici a breve tempo di permanenza in atmosfera, molti dei quali sono i più comuni inquinanti atmosferici che hanno effetti deleteri sulla salute umana e l’ambiente in generale. I due fenomeni, inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici, vengono definiti “due facce della stessa medaglia”, fino a concludere che politiche integrate di riduzione delle emissioni generate dalle attività umane costituiscono la migliore strategia di politica ambientale, anche in termini di costi sociali ed economici, e producono effetti benefici sia per la qualità dell’aria che per il contenimento del riscaldamento del pianeta.

Esiste una connessione tra i lockdown legati alla pandemia e le cause dei cambiamenti climatici?
Un aspetto interessante affrontato nel capitolo 6 riguarda poi la pandemia COVID-19 che, in conseguenza dei lockdown estesi in tutto il mondo, ha causato la riduzione in tempi brevissimi sia delle emissioni di inquinanti atmosferici che dei gas serra. Per quanto riguarda i primi, si è assistito a un seppur temporaneo miglioramento della qualità dell’aria in tutto il pianeta. Per quanto riguarda i secondi, i lockdown hanno prodotto una riduzione del 7% delle emissioni di CO2 a livello globale, un dato enorme che non ha precedenti negli ultimi 50 anni. A questo però non si è associata una riduzione della concentrazione di CO2 e, conseguentemente, nessun apprezzabile effetto sulla temperatura del pianeta. Questo dato conferma che per contrastare il riscaldamento climatico sono necessarie riduzioni della concentrazione di CO2 e degli altri gas serra di grossa entità e sostenute nel tempo fino a una completa decarbonizzazione perché per apprezzare gli effetti della riduzione delle emissioni sulla concentrazione di gas serra in atmosfera sono necessarie azioni e strategie di lungo periodo.

Il tema dell’acqua: una delle novità del Report IPCC è che ci sia un intero capitolo dedicato al ciclo idrologico, quali sono le informazioni principali che se ne possono trarre?
Per la prima volta il Rapporto di valutazione dell’IPCC dedica spazio esplicitamente al ciclo idrologico e ai cambiamenti ad esso associati in un’ottica di comprensione dei processi in gioco. Il ciclo idrologico coinvolge l’acqua in tutte le sue forme, ed è facilmente comprensibile quanto possa essere importante per gli utenti finali e per la società avere informazioni specificamente dedicate ad esso. È però un argomento molto complesso ed articolato. Rispetto al precedente rapporto dell’IPCC, la comprensione teorica dei fenomeni associati al ciclo idrologico, è aumentata grazie ad una maggiore disponibilità di dati, ad un miglioramento ed approfondimento delle metodologie, ed alla possibilità di avere accesso ad esperimenti e modelli, sempre più numerosi e diversificati. Di conseguenza, capiamo come eventi estremi, quali fenomeni siccitosi o precipitazioni intense, potranno essere più intensi nel futuro, o come precipitazione ed altre componenti del ciclo idrologico saranno più variabili sia a livello stagionale che di anno in anno. Nel futuro, estremi associati alle precipitazioni saranno più intensi in molte regioni, anche dove ci si aspetta una diminuzione della precipitazione media.

Le analisi sviluppate sul tema del ciclo idrologico consentono anche di approfondire temi come il ruolo delle emissioni di aerosol dovute all’attività dell’uomo nel cambiamento osservato. Infatti, dalla seconda metà del XX secolo l’aumento delle precipitazioni a livello globale, soprattutto nell’emisfero settentrionale, e in alcune aree monsoniche è stato parzialmente mascherato da una diminuzione, come conseguenza della presenza di aerosol di origine antropica. Sappiamo anche che a livello regionale il ciclo idrologico potrebbe cambiare in modo non lineare perché i fattori in gioco possono essere diversi.

Quali sono le considerazioni principali per quello che riguarda il rapporto tra cambiamenti climatici e oceano?
Molti dei cambiamenti che abbiamo registrato nel recente passato e stiamo vivendo nel presente, sono segnali di un impatto ormai irreversibile dei cambiamenti climatici, come ad esempio quello relativo all’innalzamento della temperatura del mare, allo scioglimento del ghiaccio terrestre, al conseguente aumento del livello del mare, all’acidificazione e alla deossigenazione.

Più nel dettaglio, emerge dal rapporto che un ulteriore riscaldamento amplificherà ulteriormente lo scongelamento del permafrost e la perdita della copertura nevosa stagionale, del ghiaccio terrestre e del ghiaccio marino artico. È probabile che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre (mese del minimo annuo) almeno una volta prima del 2050, con eventi più frequenti per livelli di riscaldamento più elevati. Il livello medio globale del mare continuerà ad aumentare per tutto il XXI secolo in tutti e cinque gli scenari futuri considerati.

Le simulazioni di ultima generazione di CMIP6 hanno apportato miglioramenti in molti ambiti dello studio dell’oceano e dei ghiacci. In particolare, per le simulazioni passate e future del ghiaccio marino per cui si può ora rappresentare la sensitività del ghiaccio Artico rispetto alle emissioni di CO2 e al riscaldamento globale. Inoltre, da queste simulazioni emerge una maggiore confidenza sulle stime della CO2 (sia per il flusso in superficie che per lo stoccaggio in profondità) e risulta rafforzata l’evidenza scientifica in merito all’acidificazione del mare in tutte le regioni, con tendenze che si manifestano più marcate per il futuro.

Perché sono stati considerati nel Rapporto anche eventi improbabili con potenziali effetti disastrosi?
Per la prima volta sono stati considerati in un rapporto dell’IPCC eventi a bassa probabilità e grande impatto, ovvero potenziali esiti del cambiamento climatico considerati improbabili, tuttavia possibili, che potrebbero comportare effetti disastrosi (per esempio un crollo improvviso della calotta glaciale antartica, che porterebbe a un aumento del livello del mare più rapido del previsto, oppure la scomparsa della foresta pluviale amazzonica, o più in generale eventi estremi concomitanti altamente improbabili ma non impossibili). Prendere in considerazione tali eventi è molto importante perché ciò consente un’effettiva valutazione di quelli che sono i rischi più elevati per la società e per gli ecosistemi.

Il rapporto Climate Change 2021 dell’IPCC utilizza degli scenari diversi rispetto al precedente rapporto. Questi nuovi scenari si chiamano SSP, Shared Socio-economic Pathways. In che cosa consistono?
Il rapporto analizza i cambiamenti climatici con riferimento a 5 scenari che coprono una gamma di possibili sviluppi futuri di fattori antropogenici che, come si evince dalla letteratura scientifica, influenzano i cambiamenti climatici. Shared Socio-economic Pathway – SSP, questo il nome degli scenari, considerano una varietà di contesti socioeconomici diversi associati all’implementazione di diverse strategie di gestione delle emissioni di gas serra.

Questi scenari partono dal 2015 e comprendono ipotesi con:

  • alte emissioni di gas serra (SSP3-7.0 e SSP5-8.5) ed emissioni di CO2 che raddoppiano entro il 2100 o il 2050 rispetto ai valori attuali;
  • valori intermedi di emissioni di gas serra (SSP2-4.5) con emissioni di CO2 che rimangono ai livelli attuali fino alla metà del secolo;
  • Emissioni basse o molto basse di gas serra (SSP1-1.9 e SSP1-2.6) con emissioni di CO2 che vanno verso l’obiettivo di zero emissioni nette intorno al 2050 o dopo, con diversi livelli di emissioni negative di CO2.

Nei diversi scenari le emissioni cambiano a seconda delle diverse assunzioni socio-economiche, i livelli di mitigazione dei cambiamenti climatici e le iniziative di controllo delle emissioni di alcuni inquinanti.