IPCC: diffuso a Copenaghen il nuovo Rapporto di Sintesi
Il Rapporto di Sintesi dell’IPCC (IPCC AR5 SYR) si basa sui precedenti rapporti dei tre Gruppi di Lavoro (Working Groups) ed è stato ideato e realizzato con lo scopo di fornire una visione completa e integrata dei cambiamenti climatici.
Il rapporto si articola in quattro sezioni:
- Cambiamenti osservati e loro cause
- Cambiamenti climatici, rischi e impatti futuri – alterazioni e cambiamenti dei sistemi
- Misure di adattamento e mitigazione
Considerando il rapporto IPCC AR5 nel suo complesso, esso conferma ed evidenzia ciò che molti scienziati vanno dicendo da tempo: vi è ormai estrema certezza – come mai prima nella storia dei cambiamenti climatici – che il cambiamento climatico sia in atto e che l’uomo sia la principale causa di ciò. Infatti, il nuovo Rapporto di Sintesi pubblicato a Copenaghen il 2 novembre illustra chiaramente come tutto il riscaldamento a partire dal 1951 in poi sia dovuto alle attività umane. Dal momento che le emissioni globali di carbonio hanno raggiunto livelli record e continuano ad aumentare, il rapporto AR5 conferma inoltre che i cambiamenti climatici stanno causando già degli impatti su tutti i continenti e gli oceani, portando a dei cambiamenti che sono spesso senza precedenti e che potrebbero essere in parte – o potrebbero presto diventare – irreversibili.
Con gli attuali 0,85°C di riscaldamento rispetto ai livelli del 1880, impatti significativi di cambiamento climatico stanno interessando numerose comunità in tutto il mondo. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, il livello del mare è salito, la quantità di ghiaccio e neve è diminuita. Se il mondo continuerà sulla strada attuale, il quadro può solo diventare ancora più cupo. Il rapporto AR5 illustra come la comprensione scientifica dei futuri rischi si sia rafforzata negli ultimi anni, e di come si preveda che le temperature in aumento rallenteranno la crescita economica, eroderanno la sicurezza alimentare e aggraveranno le disuguaglianze sociali ed economiche.
Secondo l’IPCC, adottando lo scenario che grosso modo corrisponde a continuare con il modello di sviluppo business as usual, l’innalzamento della temperatura globale raggiungerà il valore di 4°C al di sopra dei livelli dell’età pre-industriale, con conseguenze catastrofiche per l’umanità e il Pianeta. I governi di tutto il mondo hanno in passato già convenuto sulla necessità di limitare l’innalzamento della temperatura globale a meno di 2°C al di sopra dei livelli dell’età pre-industriale, con molte delle nazioni più vulnerabili della Terra che chiedono un tetto massimo di 1,5°C. Il rapporto AR5 non esclude la possibilità che si possa raggiungere questo obiettivo, ma al fine di raggiungerlo dipinge un quadro di enormi cambiamenti relativamente al modo di fornire energia alle nostre economie.
A tale scopo, l’IPCC ha per la prima volta delineato un carbon budget. Questo budget indica che per una probabilità di due terzi di mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il mondo dovrà fissare un tetto per le emissioni totali, a partire dal 1870, pari a 2900 gigatonnellate. Tuttavia, a partire dal 2011, due-terzi di questo budget sono già stati spesi. Pertanto, al fine di mantenere l’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2°C entro il 2100, saranno necessari consistenti sforzi per la riduzione delle emissioni nel corso dei prossimi vent’anni (e di conseguenza, misure ancor più significative e rapide per rimanere al di sotto di 1,5°C).
Sforzi di quest’ordine di grandezza sono possibili, ma richiederanno cambiamenti su vasta scala nel nostro attuale sistema energetico – dal momento che i due terzi delle emissioni di origine antropogenica derivano dal consumo di combustibili fossili. L’IPCC è piuttosto chiaro sul fatto che non ci sarà nessuna possibilità di prevenire un riscaldamento catastrofico se non lasceremo la maggior parte delle riserve di combustibili fossili del mondo dove si trovano adesso: sotto terra. Inoltre, il rapporto evidenzia che se vogliamo mantenere le emissioni a basso livello, più sicuro e stabile, dobbiamo completamente eliminare il consumo ininterrotto di petrolio, carbone e gas, con le emissioni globali (nette) di CO2 che raggiungeranno un picco, per diminuire e tendere a zero nel lungo periodo.
Per rimpiazzare i combustibili fossili, l’IPCC afferma che sarà necessario triplicare il nostro uso di energia a zero e a basse emissioni di carbonio (zero and low carbon energy) entro il 2025. Con le energie rinnovabili notevolmente migliorate in termini di prestazioni e di costi-efficienza negli ultimi anni, il rapporto AR5 dipinge le tecnologie già esistenti, come l’eolico e il solare, come opzioni sempre più allettanti e con prospettive future ancor più solide. E questo accadrà specialmente se i governi metteranno in atto politiche di autorizzazione più incisive, per esempio incoraggiando il passaggio da investimenti in energia inquinante a investimenti in energia pulita, l’eliminazione di sussidi sbagliati, e incentivi per utilizzare meno energia in tutti gli edifici, nel settore dei trasporti e nell’industria, che a loro volta potrebbero far risparmiare denaro.
L’IPCC ci pone infatti di fronte a una scelta severa ed estrema: possiamo discendere la strada dell’energia pulita, con la quale la crescita economica è forte, o possiamo percorrere il sentiero dell’inquinamento da carbonio, dove la crescita economica è spazzata via dai cambiamenti climatici. Negli scenari business-as-usual, che non includono la necessità di pagare per il costo di impatti in peggioramento, il consumo cresce dall’1,6% al 3% all’anno. Una mitigazione ambiziosa ridurrebbe questa crescita soltanto all’incirca dello 0,06% all’anno, ovvero avremmo una crescita del 2,94% anziché del 3%. Le valutazioni economiche dell’IPCC sui costi di mitigazione non includono ancora i co-benefici che derivano dall’intraprendere tali azioni – come la migliore salute pubblica o l’aumento dell’efficienza energetica – o i costi risparmiati per aver evitato impatti futuri. Se guardiamo ai costi contenuti, ai co-benefici e al risparmio, appare chiaro come la mitigazione del clima diventi economicamente davvero ovvia.
Nessuna sorpresa quindi che l’IPCC avverta inoltre che ritardare le azioni di mitigazione adesso sia una pessima idea che comporterà costi d’intervento più alti in seguito. Ma persino se non aspettiamo, i costi d’intervento possono ancora differire in maniera significativa, sulla base di quali opzioni energetiche sceglieremo. In un contesto di fonti energetiche a basse emissioni e a emissioni zero di carbonio, per esempio, il rapporto fa riferimento, oltre che alle rinnovabili, all’energia nucleare e alla cattura e stoccaggio del carbonio (CCS – carbon capture and storage). Sottolinea tuttavia come il nucleare sia costoso e presenti numerosi rischi, che il CCS sia più teoria che pratica e che non sia stato testato su larga scala – ostacoli importanti con cui non si è dovuta confrontare l’industria delle rinnovabili, ormai matura e in rapida espansione.
Sono inoltre discussi nel rapporto i temi controversi di geoingegneria e rimozione del carbonio, ma con numerose precisazioni e puntualizzazioni – incluso il fatto che comportano gravi rischi, portano a costi molto elevati, e non sono ancora mai state provate su larga scala. L’approccio dell’IPCC nei confronti di tali tecnologie riflette il fatto che esse siano ampiamente considerate come delle “distrazioni”, quando esistono soluzioni più economiche, sicure e pulite come le energie rinnovabili che sono disponibili, ma non sono ancora state pienamente sfruttate.
Una particulare tecnologia a cui viene prestata un po’ di attenzione nel rapporto è la Bioenergia con Cattura e Stoccaggio del Carbonio (BECCS – Bioenergy with Carbon Capture and Storage). La BECCS è una componente essenziale di alcuni scenari a basse emissioni del rapporto AR5, ma presenta degli inconvenienti, inclusi gli alti costi e la necessità di utilizzare terreni coltivabili e risorse idriche per produrre bio-carburanti.