20Set

Meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere

Meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere

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Mentre i vari Stati attuano misure per limitare le emissioni di CO2, cercano allo stesso tempo di tutelare le industrie locali dalla concorrenza sleale e di garantire che le emissioni vengano effettivamente ridotte, e non semplicemente spostate al di fuori della loro giurisdizione. I meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere utilizzano sistemi di imposte e sconti fiscali per raggiungere questi obiettivi. Come funzionano questi meccanismi, e perché sono uno strumento apparentemente controverso?

Il modo più efficace per affrontare il cambiamento climatico di origine antropica consiste nell’abbattere le emissioni globali di CO2. Ciò significa che gli Stati devono non soltanto ridurre le emissioni sul territorio nazionale, ma anche assicurarsi che queste non vengano semplicemente spostate altrove. I Paesi che attuano politiche ambientali rigorose sono inoltre alla ricerca di strategie per proteggersi dalla concorrenza sleale di altre nazioni con normative sul carbonio meno stringenti. 

 

I meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere (CBAM) sono considerati un modo per proteggere le nazioni che si stanno convertendo a sistemi di produzione con una produzione inferiore di carbonio, incentivando al contempo gli operatori del settore in tutto il mondo a ridurre le loro emissioni.

 

Tuttavia, questo approccio ha trovato l’opposizione di vari Paesi, non ultimi Cina e India, che sostengono si tratti invece di protezionismo, violazione dei principi commerciali e incompatibilità con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

 

“Più che la questione della conformità con le regole del commercio internazionale, che rimane una questione di grande complessità, i principali ostacoli ai meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere sono le ingenti sfide dell’attuazione pratica legate al loro calcolo e ai costi amministrativi”, spiega il ricercatore del CMCC e co-direttore dell’European Institute on Economics and the Environment (EIEE) Francesco Bosello.

I meccanismi di adeguamento della CO2 nel mondo

Nel luglio 2021, la Commissione Europea ha proposto un meccanismo di adeguamento delle emissioni di carbonio alle frontiere per aiutare a proteggere l’industria europea dalla concorrenza sleale. Nella sua fase iniziale, il meccanismo stabilisce un prezzo del carbonio sulle importazioni di determinati prodotti nel tentativo di sostenere le industrie nazionali che saranno colpite da prezzi del carbonio più elevati rispetto alla concorrenza estera.

 

Inoltre, il meccanismo è stato concepito per garantire uno sforzo corale e per far sì che le riduzioni delle emissioni europee contribuiscano anche a un calo delle emissioni globali, invece di spostare semplicemente la produzione ad alta intensità di carbonio al di fuori dell’Europa – un fenomeno noto come “carbon leakage”.

Sebbene la proposta europea sia la prima di questo genere su scala così ampia, i meccanismi di adeguamento della CO2 alle frontiere esistenti non esistono solo nell’UE. Negli Stati Uniti, lo Stato della California ha già utilizzato questo meccanismo per regolare l’importazione di elettricità, rendendo gli importatori responsabili anche delle emissioni associate all’elettricità generata in Stati al di fuori della California.

 

Inoltre, sotto la spinta dell’amministrazione Biden si sta iniziando a discutere a livello federale di una proposta di legge per una tassa sul carbonio alla frontiera (“carbon border fee”) simile a quella europea. “C’è la prospettiva concreta che Canada, Unione Europea e Regno Unito si uniscano per creare un meccanismo di adeguamento comune della CO2 alle frontiere. E se non ci uniremo anche noi a loro, per noi sarà una tragedia annunciata”, ha spiegato il senatore Sheldon Whitehouse in un’intervista a Climatewire.

Come funzionano i CBAM?

I CBAM sono un insieme di strumenti di politica commerciale che cercano di limitare lo spostamento di attività economiche ad alte emissioni dai Paesi o dalle aree economiche con politiche climatiche relativamente rigide verso quelli con politiche più permissive.

 

“[I CBAM] funzionano applicando prezzi correttivi alle importazioni in base al loro contenuto di carbonio, nel tentativo di coprire le potenziali differenze di prezzo dovute a politiche di riduzione delle emissioni come quelle attuate nell’UE”, spiega Bosello. 

 

In genere, i CBAM includono anche sconti fiscali, cosicché i produttori nazionali che devono rispettare standard ambientali elevati non si trovino in una situazione di svantaggio competitivo sui mercati esteri. 

 

Conosciuti anche come aggiustamenti del carbonio alle frontiere, meccanismi di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM) o aggiustamenti fiscali alle frontiere, hanno acquisito una particolare notorietà da quando l’UE ha annunciato che avrebbe lanciato il suo CBAM come parte del Green Deal europeo e come aggiornamento del suo sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS), che è l’attuale strumento scelto per regolare le emissioni di carbonio all’interno del blocco commerciale.

 

“L’accordo raggiunto in sede di Consiglio sul meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere è una vittoria per la politica climatica europea: ci fornirà uno strumento per accelerare la decarbonizzazione della nostra industria, proteggendola al contempo dai Paesi con obiettivi climatici meno ambiziosi”, ha dichiarato Bruno Le Maire, Ministro francese dell’Economia, delle Finanze e della Ripresa, di fronte al Consiglio Europeo.

 

Nell’ambito dello CBAM, gli importatori UE acquisteranno certificati di CO2 in linea con il prezzo del carbonio che sarebbe stato pagato se i beni fossero stati prodotti secondo le norme sul carbonio dell’UE. Mentre il sistema ETS fissa una soglia limite alla quantità di emissioni di gas serra che possono essere prodotte dalle industrie in settori specifici, il CBAM si applicherà alle emissioni dirette di gas serra avvenute durante il processo di produzione dei prodotti. 

 

“Oggi nell’UE la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio viene gestita distribuendo quote di emissione gratuite ad alcune industrie. Questo sistema è stato pesantemente criticato per la sua scarsa efficienza, per cui la Commissione vuole sostituirlo con uno CBA”, afferma il Consigliere per le Politiche Commerciali Fredrik Gisselman nel suo rapporto sul Carbon Border Adjustment.

 

Sebbene il CBAM sia stato concepito per salvaguardare l’efficacia del sistema di tariffazione del carbonio in Europa, si ritiene che possa spingere anche altri Paesi a ridurre le emissioni e portare all’attuazione coordinata di un maggior numero di meccanismi di adeguamento.

 

L’obiettivo prefisso per gli aggiustamenti è quello di aumentare l’efficacia ambientale delle politiche climatiche, disincentivando le attività economiche che possono causare maggiori emissioni complessive di gas serra. Questi meccanismi assicurano inoltre che gli operatori del settore nei Paesi con normative ambientali stringenti rimangano competitivi e non spostino la produzione all’estero per evitare il costo della riduzione delle emissioni.

 

Tuttavia, l’efficacia dei CBAM rimane una questione controversa. “L’analisi economica indica che non ci sono prove evidenti degli effetti dei CBAM. Ad esempio, in un recente studio condotto dall’Istituto Europeo per l’Economia e l’Ambiente (EIEE) in collaborazione con Resources for the Future e RITE, abbiamo dimostrato che i CBAM possono essere efficaci nel ridurre gli effetti negativi sulla competitività dei settori ad alta intensità energetica dell’UE. Tuttavia, sono meno efficaci nel “convincere” gli Stati con obiettivi climatici meno stringenti ad attuare politiche di mitigazione più ambiziose. A tal fine, è necessario raggiungere altri tipi di accordi. Pertanto, l’obiettivo e la portata dei CBAM dovrebbero essere chiari e limitati”, spiega Bosello.

Pro e contro

Da un lato, gli adeguamenti alle frontiere della CO2 possono creare condizioni di parità per il commercio internazionale e la politica climatica, imponendo un prezzo al carbonio. Sono un modo per garantire che la riduzione delle emissioni non vada a discapito della competitività economica e consenta a nazioni e blocchi commerciali come l’UE di portare avanti politiche climatiche ambiziose senza mettere in difficoltà le proprie industrie o costringere alla rilocalizzazione delle emissioni.

 

Inoltre, imponendo tariffe sulle importazioni, i Paesi raccoglieranno denaro che potrà essere speso per altre politiche ambientali. Ad esempio, il CBAM dell’UE, che entrerà in vigore nel 2023, potrebbe portare tra i 5 e i 14 miliardi di euro di entrate all’anno. L’UE sostiene che tali entrate saranno utilizzate per coprire gli sconti sulle esportazioni, investire in tecnologie di mitigazione dei cambiamenti climatici, di resilienza e persino essere distribuite ai cittadini sotto forma di bonus.

I 20 principali esportatori di beni CBAM nell’UE-27 durante il 2020. Fonte: Knoema

Tuttavia, le implicazioni che queste misure hanno per il libero scambio e le questioni legate ai tecnicismi della loro attuazione sono state poste sotto osservazione. Infatti, quanto più ampio è il bacino di prodotti che rientrano in un meccanismo di aggiustamento delle emissioni di carbonio, tanto più aumenteranno le difficoltà organizzative e i costi.

 

 “Quali sono le grandi sfide? La prima è quella politica. Ma poi ci sono le sfide legali, tecniche e amministrative […] Ci sono letteralmente migliaia di prodotti ad alta intensità di gas serra scambiati sui mercati internazionali, e centinaia di nazioni. E le regole continuano a cambiare, le politiche continuano a cambiare, i mercati si evolvono. Quindi qualsiasi sistema che verrà imposto avrà delle serie difficoltà amministrative”, ha dichiarato l’esperto di politica climatica internazionale Brian Flannery parlando al Podcast di Resources for the Future.

 

“Non solo sarà difficile raccogliere tutte le informazioni necessarie per stabilire un prezzo appropriato alle importazioni, ma la veridicità delle informazioni potrebbe essere difficile da attestare”.

 

Infine, non si possono trascurare le sfide diplomatiche implicite negli aggiustamenti del carbonio alle frontiere, che non solo minacciano di compromettere gli accordi commerciali, ma anche di ostacolare la politica climatica. La soluzione a questo problema sembra essere un’attenta valutazione del tipo e della quantità delle emissioni da includere e delle industrie da prendere in considerazione.

 

“È certamente possibile progettare un aggiustamento del carbonio che sia conforme alle regole dell’OMC”, afferma Gisselman. “Ma una misura del genere è molto complessa e deve essere progettata con molta attenzione per essere efficiente e conforme alle direttive”. Due delle questioni più difficili da risolvere sono come tenere conto delle politiche climatiche di altri Paesi e se gli sconti all’esportazione per le aziende UE possano o debbano essere inclusi”.

 

Man mano che i BCA passano dalla teoria all’attuazione pratica, come dimostra il CBAM dell’UE, saranno necessarie ulteriori ricerche per verificare che siano attuati in maniera efficace e parallelamente determinare quanto siano validi nel ridurre le emissioni, fornendo al contempo condizioni di parità fra gli Stati coinvolti.  

 

Infine, è necessario considerare anche la questione della giustizia climatica, poiché è probabile che gli aggiustamenti del carbonio alle frontiere avranno un impatto sui Paesi meno sviluppati, che hanno meno possibilità di ridurre le proprie emissioni rispetto alle nazioni più ricche, le quali hanno un margine maggiore per investire in questo ambizioso obiettivo.

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