15Set

Giustizia climatica

Giustizia climatica

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I diversi impatti del cambiamento climatico sugli individui e sulle comunità, oggi sempre più al centro dell’attenzione, ci spingono a riflettere sulle diverse implicazioni teoriche e pratiche del concetto di giustizia climatica.

Gli impatti del cambiamento climatico non colpiscono allo stesso modo gli individui e le comunità nelle diverse aree geografiche della Terra. Inoltre, non tutti i paesi sono ugualmente responsabili di questi cambiamenti. Il concetto di giustizia climatica si basa su questi due principi, ed è considerato un aspetto sempre più importante nei dibattiti sull’adattamento e la mitigazione.

 

Un esempio classico è quello dei piccoli stati insulari la cui esistenza stessa è minacciata dal cambiamento dei modelli meteorologici e dall’aumento del livello del mare. Paesi come Tuvalu nel Pacifico e Antigua y Barbuda nei Caraibi rischiano di scomparire pur avendo contribuito ben poco all’aumento delle emissioni di gas serra, e quindi al cambiamento climatico. Come possiamo utilizzare queste conoscenze per informare e influenzare le politiche climatiche? Fornire una risposta a questa domanda è l’obiettivo principale della giustizia climatica.

 

Il cambiamento climatico minaccia di esacerbare le disuguaglianze già esistenti allargando il divario tra comunità avvantaggiate e svantaggiate – cioè tra i paesi che riusciranno a adattarsi alle nuove condizioni e quelli che invece non ce la faranno. Per questa ragione è necessario sviluppare rapidamente soluzioni efficaci e strategie di riduzione delle emissioni con un approccio che prenda in considerazione anche i bisogni, i diritti e le disuguaglianze delle società.

Analizzare la giustizia climatica

Il termine giustizia climatica fu reso popolare negli anni ’90 da alcuni attivisti del Sud del mondo che cercavano di attribuire il peso della responsabilità del cambiamento climatico alle nazioni ricche e potenti, dimostrando al contempo che le nazioni più povere sono anche quelle più colpite dal cambiamento climatico e beneficerebbero maggiormente dalla riduzione delle emissioni. 

 

Questa eredità persiste in concezioni più moderne del termine, per cui l’idea che i paesi ricchi debbano essere ritenuti responsabili delle emissioni storiche rimane intrinsecamente legata al termine e al movimento della giustizia climatica. 

 

In un atto implicito di riconoscimento della responsabilità differenziata per il cambiamento climatico, al summit delle Nazioni Unite sul clima di Copenhagen nel 2009 i paesi ad alto reddito hanno promesso di fornire fino a 100 miliardi di dollari all’anno per sostenere le strategie di adattamento e mitigazione nei paesi a basso reddito a partire dal 2020.

 

Questa cifra è divenuta da allora un punto chiave di contesa nei successivi negoziati sul clima come la COP26, dato che i paesi industrializzati non hanno finora mantenuto la loro promessa, suscitando l’indignazione dei rappresentanti dei paesi in via di sviluppo.

Le emissioni pro capite e assolute di consumo di CO2 per quattro gruppi di reddito globale (2015) rivelano come alcuni gruppi contribuiscono più di altri al cambiamento climatico. Fonte: Emissions Gap Report 2020 – UNEP

Una questione di diritti

Il mondo accademico e quello politico stanno guardando alla questione delle cause e degli effetti del cambiamento climatico sempre più in relazione a quella dei diritti, dell’etica e della politica – piuttosto che a fattori puramente ambientali o fisici. 

 

Ad esempio, la relazione tra il cambiamento climatico e i diritti umani viene già riconosciuta sia su scala locale che globale: numerosi governi nazionali, le Nazioni Unite (ONU) e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) affermano che il peso del cambiamento climatico “non è sostenuto in modo uguale o equo tra ricchi e poveri, donne e uomini, e anziani e giovani”.

 

Anche gli ultimi due volumi del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (AR6) includono riferimenti specifici alla giustizia climatica. In particolare, il rapporto del Working Group II – Impacts, Adaptation and Vulnerability (WGII) dello scorso 28 febbraio pone l’accento sulle disuguaglianze che rendono alcune comunità e alcuni paesi più vulnerabili di altri agli impatti del cambiamento climatico.

“La giustizia climatica affianca il tema dello sviluppo a quello dei diritti umani per favorire un approccio basato sui diritti nell’affrontare il cambiamento climatico.” 

 

Sesto Rapporto di Valutazione, WGII

Il rapporto del WGII definisce la giustizia climatica in base a tre principi: “la giustizia distributiva, che si riferisce alla distribuzione degli oneri e dei benefici tra gli individui, le nazioni e le generazioni; la giustizia procedurale, che si riferisce a chi decide e partecipa al processo decisionale; e il riconoscimento, che implica il rispetto reciproco e un forte impegno a tenere in giusta considerazione le diverse culture e prospettive”.

 

Il rapporto stabilisce inoltre con elevata fiducia che soluzioni integrate e inclusive, basate sull’equità e sulla giustizia sociale e climatica riducono i rischi climatici e permettono uno sviluppo resiliente al cambiamento. In questo modo, evidenzia non solo la necessità di sostenere le comunità più vulnerabili, ma anche i benefici che questo potrà portare allo sviluppo sostenibile.  

 

Nel processo, l’IPCC definisce la giustizia climatica come l’incontro tra il tema dello sviluppo e quello dei diritti umani, per favorire un approccio basato sui diritti nell’affrontare il cambiamento climatico.

 

Questo processo viene favorito anche da organizzazioni della società civile come Climate Justice Alliance, che riunisce le comunità e le organizzazioni con lo scopo di realizzare una “giusta transizione dai sistemi estrattivi di produzione, consumo e oppressione politica, verso economie resilienti, rigenerative ed eque”.

 

La giustizia climatica non è solo una questione di responsabilità nazionale, ma comprende anche questioni di etnie, genere e ceto sociale. Per non parlare dei conflitti intergenerazionali scaturiti dallo scarico di responsabilità della gestione delle conseguenze ambientali e sociali delle nostre azioni alle generazioni future.

 

Il legame tra il concetto di giustizia climatica a quello dei diritti umani si sta quindi sempre più intensificando. Ad esempio, durante il primo Summit sulla Giustizia Climatica – tenutosi nel 2000 proprio mentre i negoziati del COP6 stavano avendo luogo all’Aia – il cambiamento climatico è stato ripetutamente messo in relazione con i  diritti umani. Ancora, nei Bali Principles of Climate Justice – stilati nel 2002 da una coalizione che includeva CorpWatch, Third World Network, Oil Watch e Indigenous Environmental Network, tra gli altri – gli attivisti hanno provato a ridefinire il cambiamento climatico con una prospettiva più legata ai diritti umani e alla giustizia ambientale.

Stabilire una base legale

Il legame tra diritti umani e giustizia climatica è molto importante perché permette anche ai gruppi più vulnerabili di appellarsi al sistema legale per spingere i governi e le aziende ad assumersi la responsabilità delle loro emissioni e del loro impatto sull’ambiente.

 

Parlando a Carbon Brief, la dottoressa Joana Setzer, specialista legale della London School of Economics and Political Science, spiega che: “I tribunali hanno il mandato di valutare come l’azione o l’inazione sul cambiamento climatico influenzi interessi legalmente protetti, come i diritti umani. In alcuni casi, avviare un procedimento giudiziario può permettere agli attivisti e ad altri portatori di interesse di generare un dibattito su come implementare gli obblighi legali per proteggere quegli interessi, anche di fronte all’inazione o all’opposizione nel processo politico.”

 

Infatti, il rapporto UNEP Global Climate Litigation Report: 2020 Status Review, delinea come i casi climatici siano quasi raddoppiati tra il 2018 e il 2021 inducendo i governi e le aziende a migliorare il loro approccio alle questioni climatiche.

 

 

I casi di successo includono il caso del 2020 Neubauer et al vs Germania, in cui un gruppo di giovani tedeschi ha sfidato la legge federale tedesca sulla protezione del clima, affermando che il suo obiettivo di ridurre i gas serra del 55% entro il 2030 dai livelli del 1990 era insufficiente e quindi una violazione dei diritti umani. 

 

Altro esempio è quello della causa sollevata nel 2019 contro la società di combustibili fossili Shell dal gruppo ambientalista Milieudefensie/Friends of the Earth Netherlands e altri co-querelanti – che sostenevano che il contributo della Shell al cambiamento climatico violava il suo dovere di protezione dei cittadini secondo la legge olandese e di conseguenza  gli obblighi relativi ai diritti umani.

Una transizione giusta

La giustizia climatica non riguarda dunque solo la riparazione dei torti subiti in passato, ma anche la costruzione di un futuro migliore e la garanzia di una transizione giusta, definita dalla Climate Justice Alliance come “un insieme di principi, processi e pratiche guidati da una visione comune, sensibili alle diversità geografiche e al contempo unificanti, in grado di costruire le potenzialità economiche e politiche per passare da un’economia estrattiva a un’economia rigenerativa”.

Una transizione giusta coinvolge le comunità e i leader, rimodellando il sistema economico e assicurando che nessuno sia lasciato indietro. Fonte: Climate Justice Alliance

Una transizione giusta implica affrontare i cicli di produzione e di consumo in modo olistico e quanto più possibile equo, assicurando che nessuno sia lasciato indietro nella transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2.

 

L’idea di una transizione giusta è sancita dall’Accordo di Parigi ed è stata abbracciata dai politici di tutto il mondo, come nel Just Transition Fund della Commissione Europea.

“La transizione verde avrà successo solo se tutti ne beneficeranno. Il Just Transition Fund sosterrà attivamente i cambiamenti che porteranno ad un’economia florida e socialmente equa a impatto climatico zero.”

 

Elisa Ferreira, Commissario per la coesione e le riforme (Comunicato stampa del Just Transition Fund)

È ormai chiaro che la giustizia climatica giocherà un ruolo sempre più importante nell’attivismo, nei dibattiti politici e anche nel mondo accademico. Inoltre, questioni come la pandemia di COVID-19 serviranno a far comprendere ancora di più l’importanza di attuare una transizione giusta che non lasci nessuno indietro, rappresentando un’opportunità unica di cambiamento anche per il mondo della politica climatica.

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