Decoupling (delle emissioni dalla crescita economica)
Decoupling (delle emissioni dalla crescita economica)
Abbandonare un tipo di sviluppo basato sui combustibili fossili può scindere definitivamente due curve che storicamente sono cresciute in parallelo. A che punto siamo, sfide e prospettive del decoupling, il disaccoppiamento delle emissioni climalteranti dalla crescita economica.
A partire dalla rivoluzione industriale, lo sfruttamento dei combustibili fossili per la produzione di energia ha alimentato una crescita economica globale senza precedenti. Ma insieme alla ricchezza sono cresciute anche le emissioni e le concentrazioni di gas serra in atmosfera, ed è così che il mondo ha iniziato a riscaldarsi per mano dell’uomo. Per permettere alla curva del PIL (Prodotto Interno Lordo) di continuare la sua ascesa stabilizzando al contempo le temperature globali ai livelli concordati negli accordi internazionali sul clima – unica via per controllare il cambiamento climatico e contenerne le conseguenze – la parola d’ordine è ‘decoupling’.
Cos’è il decoupling
In senso generale, il termine decoupling (disaccoppiamento) indica una situazione in cui due o più attività sono separate, o non si sviluppano allo stesso modo (Cambridge Dictionary). Se applicato al settore ambientale in senso ampio, il termine si riferisce alla rottura del collegamento tra crescita economica e danni o pressioni ambientali (Parlamento Europeo).
Ci sono molte possibili pressioni ambientali collegate allo sviluppo economico, dallo sfruttamento delle risorse naturali alla perdita di biodiversità, fino all’uso del territorio. In riferimento al cambiamento climatico, la pressione ambientale da disaccoppiare dalla crescita economica sono le emissioni di gas climalteranti, e specialmente le emissioni di anidride carbonica (CO2), che è il principale gas responsabile dell’effetto serra.
Nel contesto del cambiamento climatico, il disaccoppiamento è quindi definito dall’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change come il punto in cui la crescita economica non è più strettamente associata al consumo di combustibili fossili, che sono la fonte principale di CO2.
Esiste una distinzione tra decoupling ‘relativo’ e ‘assoluto’. Il decoupling è relativo quando sia la crescita economica che il consumo di combustibili fossili continuano a crescere, ma a tassi diversi, con la prima che cresce più velocemente del secondo. Si ha invece il decoupling assoluto quando la crescita economica avviene, ma il consumo di combustibili fossili, e quindi le emissioni, diminuiscono.
Disaccoppiare la crescita economica dalle emissioni
“Un concetto chiave per comprendere cos’è il decoupling e come realizzarlo è la Kaya identity” spiega Lorenza Campagnolo, ricercatrice alla Fondazione CMCC e all’Università Ca’Foscari Venezia ed esperta nella valutazione economica degli impatti dei cambiamenti climatici e delle politiche di mitigazione. “La Kaya identity descrive i quattro motori del livello o della crescita delle emissioni totali di gas serra, che sono la popolazione, il PIL pro capite, l’intensità energetica (energia utilizzata per unità di PIL) e l’intensità carbonica (emissioni per unità di energia consumata). Chiaramente, osserviamo il decoupling quando il PIL (che è determinato dai primi due elementi dell’identità di Kaya) cresce mentre le emissioni totali di gas serra rimangono costanti o si riducono. Questo è possibile se gli ultimi due elementi dell’identità di Kaya – cioè l’intensità energetica e l’intensità carbonica – diminuiscono”.
Kaya identity. Fonte: http://stochastictrend.blogspot.com/2014/05/the-global-kaya-identity.html
Il principale strumento a disposizione per ridurre l’intensità energetica e l’intensità carbonica sono le politiche climatiche, che possono essere calibrate per spingere le economie mondiali verso l’utilizzo di fonti energetiche a minore intensità di carbonio – e, a tendere, a zero emissioni – attraverso incentivi e regolamenti.
“Le politiche di mitigazione giocano un ruolo chiave sul fronte dell’intensità energetica, stimolando l’aumento dell’efficienza energetica nella produzione e innescando cambiamenti comportamentali sul lato della domanda” continua la Dr.ssa Campagnolo. “Le politiche sono fondamentali anche nel determinare cambiamenti strutturali per quanto riguarda l’intensità carbonica, stimolando il passaggio da fonti energetiche ad alto contenuto di carbonio a fonti a basso o nullo contenuto di carbonio (idroelettrico, nucleare, eolico, solare, biomasse)”.
A che punto siamo?
La crescita economica globale sta aumentando più velocemente delle emissioni di CO2: almeno due volte più velocemente negli ultimi 20 anni secondo il Global Carbon Project, il che significa che il decoupling relativo ha continuato ad avvenire a livello globale nel corso degli ultimi due decenni.
Ma, secondo il contributo del terzo Gruppo di lavoro al Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, pubblicato ad aprile 2022, che il decoupling assoluto possa essere raggiunto su scala globale è una questione controversa.
Abbiamo infatti visto il decoupling assoluto delle emissioni globali di CO2 dalla crescita economica nel periodo 2014-2016, quando le emissioni si sono stabilizzate – mentre l’economia globale ha continuato a crescere – come risultato dei miglioramenti dell’efficienza energetica, della penetrazione delle energie rinnovabili e della riduzione dell’uso del carbone. Ma è stato un fenomeno temporaneo.
“Sarebbe necessario un trend di dati più lungo prima di poter constatare un decoupling stabile”, aveva scritto l’IPCC nel 2018 nel suo rapporto speciale Riscaldamento Globale di 1.5. In effetti, le cose sono già cambiate da allora. Dopo il loro forte calo dovuto alle misure di lockdwon durante la pandemia da COVID-19, le emissioni globali di CO2 sono rimbalzate nel 2021, sostiene l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), a causa dell’alto affidamento sul carbone da parte delle economie mondiali per alimentare la ripresa economica.
“Le emissioni sono cresciute e ora sono già più alte di quelle pre-COVID: a livello globale, sono più alte dello 0,6% rispetto al 2019” spiega Johannes Emmerling, co-leader dell’unità Low Carbon Pathways al RFF-CMCC – European Institute on Economics and the Environment (EIEE). “E potrebbero crescere anche più del PIL quest’anno. Perché vediamo, per esempio, che il carbone sta sostituendo il gas nel settore dell’energia elettrica, o superando l’eolico come principale fonte di produzione di energia in Germania a causa dei prezzi elevati, che sono tra le ripercussioni del conflitto in Ucraina”.
Il decoupling non è qualcosa che accade e poi si può dimenticare, sottolinea il Dr. Emmerling. È necessario continuare a decarbonizzare l’economia, e le cose possono facilmente tornare indietro una volta che le politiche di mitigazione vengono ridotte o interrotte.
Decoupling nazionale
Negli ultimi anni, molti paesi hanno raggiunto il decoupling assoluto a livello nazionale, e sono questi ad aver guidato il disaccoppiamento assoluto temporaneamente sperimentato nel 2014-2016 a livello globale. I paesi che hanno dissociato la loro crescita economica dalle emissioni sono per lo più paesi relativamente ricchi, che sono riusciti a sostituire almeno in parte i combustibili fossili con fonti energetiche a basse emissioni di carbonio.
https://ourworldindata.org/grapher/co2-emissions-and-gdp?time=1990..latest&country=~GBR
https://ourworldindata.org/grapher/co2-emissions-and-gdp?time=1990..latest&country=~IND
Curve delle emissioni di CO₂ e del PIL nel Regno Unito (decoupling, in alto) e in India (non-decoupling, in basso)
“Non è facile definire se un paese sia riuscito o meno nell’obiettivo di disaccoppiare crescita economica ed emissioni. Dipende dalla metrica che si usa” afferma Emmerling. “Per esempio, c’è una grande differenza tra una contabilizzazione delle emissioni basata sul consumo e una basata sulla produzione. In una prospettiva basata sulla produzione, le emissioni sono attribuite al paese che le produce. Pertanto, un paese potrebbe importare diversi beni dalla Cina o da altri grandi emettitori e risultare come se non emettesse, o addirittura come se riducesse le proprie emissioni, mentre continua a consumare quei beni, che sono semplicemente importati. Al contrario, se conteggiamo le emissioni in base al consumo, il quadro cambia”.
In quest’ultima prospettiva, le emissioni sono attribuite al paese che consuma i beni, che potrebbe infatti essere diverso da quello che li produce.
A confermare la differenza tra i due sistemi di conteggio, un recente studio evidenzia che, su 116 paesi considerati, in una prospettiva basata sulla produzione sono 32 (principalmente paesi sviluppati) ad aver raggiunto il decoupling assoluto nel periodo 2015-2018, numero che scende a 23 in una prospettiva basata sul consumo.
Emissioni dovute al consumo e variazioni del PIL per i paesi che hanno sperimentato il decoupling assoluto tra il 2005 e il 2019 – Fonte: thebreakthrough.org
“I paesi con un decoupling assoluto delle emissioni basate sul consumo tendono a raggiungere il decoupling a livelli relativamente alti di sviluppo economico ed elevate emissioni pro capite”, si legge nel nel capitolo 2.3.3 dell’ultimo rapporto dell’IPCC. “La maggior parte dei paesi dell’UE e del Nord America appartengono a questo gruppo, che non ha raggiunto il decoupling solo esternalizzando le attività di produzione ad alta intensità di carbonio, ma anche migliorando l’efficienza produttiva e il mix energetico, che hanno portato a un calo delle emissioni.”
Decoupling e scenari alternativi
Finché assumiamo che la crescita economica e della popolazione continuerà nei prossimi decenni, il decoupling assoluto è essenziale per raggiungere la neutralità carbonica, che è necessaria per limitare il riscaldamento globale entro i livelli concordati nell’Accordo di Parigi.
In ogni caso, avvisa l’IPCC, il decoupling assoluto non è sufficiente a evitare di consumare il budget di carbonio rimanente per contenere il riscaldamento entro 1.5°C o 2°C perchè, anche se il decoupling assoluto riduce le emissioni annuali, le emissioni rimanenti continuano a contribuire all’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera: di conseguenza, anche se tutti i paesi riuscissero nel decoupling assoluto, questo sarebbe solo uno degli indicatori e dei passi verso la completa decarbonizzazione dell’economia e della società.
Inoltre, il presupposto di partenza potrebbe cambiare. Se l’obiettivo non fosse quello di massimizzare il PIL, ma quello di massimizzare il benessere individuale, che non si basa solo su fattori economici ma anche su aspetti sociali, istituzionali e ambientali, quel che ci si dovrebbe chiedere è se saremo davvero più felici man mano che il PIL continua a crescere, e cosa accadrà nel lungo periodo.
“Una nicchia di ricerca sta esplorando la risposta a queste domande, e cercando il modo migliore per raggiungere un futuro sostenibile studiando scenari di decrescita, che descrivono un futuro in cui la produzione economica diminuisce” aggiunge Emmerling. “In un certo senso, questo punto di vista è ottimista in termini di mitigazione del cambiamento climatico: assumendo – o sperando – che la crescita economica rallenti, o addirittura diventi negativa nel lungo periodo, possiamo contare su una minore riduzione delle emissioni necessaria. Infatti, con un’economia forte, dobbiamo fare molto di più per ridurre l’intensità delle emissioni a zero o addirittura arrivare a emissioni negative.”
Per la prima volta, l’IPCC ha parlato di decrescita nel rapporto del suo secondo gruppo di lavoro “Impatti, adattamento e vulnerabilità” pubblicato a febbraio 2022, riferendosi ad essa come una scuola di pensiero scettica sul decoupling, come una prospettiva alternativa sullo sviluppo (chiamata post-crescita), e come una strategia per la sostenibilità.